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E’ troppo presto per fare colazione nel motel. Con l’auto ci spostiamo alla vicina old-town: deserto e tutto chiuso, niente di interessante. Poco lontano dalla stazione locale, al centro di un parcheggio, c’è una di quelle tavole-calde dove puoi fare un vero breakfast. I tavoli sono tutti occupati e la fila di persone che aspettano mi fa pensare che tutti i mattinieri della zona si sono concentrati qui. Non vedo turisti, ma sono tutti di passaggio perché qui attorno non ci sono case e abitazioni. Bisogna scrivere il proprio nome in un elenco alla cassa e aspettare di essere chiamati. Osservo i piatti che la cameriera porta ai tavoli: una vera colazione americana, con tutte le varianti che si possono immaginare. L’odore del caffè si mescola con quello delle salsicce, il colore scialbo delle uova strapazzate con i colori vivaci della frutta.Posto suggestivo, ma il mio stomaco la pensa in altro modo e soprattutto non ha ancora capito che ora è.

Oceano PacificoCi rimettiamo in auto, direzione La Jolla, ma senza avere un’idea e senza navigatore finiamo nel tratto di costa a nord, dove c’è l’università. Incrociamo un gruppone di ragazze e ragazzi che fanno jogging. Imbocchiamo pure noi la strada che porta verso l’oceano. Dall’alto delle rocce si vede una spiaggia di sabbia sterminata. C’è qualcuno che cammina, ma è poco più grande di una formica. Incontriamo i primi surfisti che scendono per i sentieri erosi dalle piogge e dalle frane dopo aver indossato la muta, e con la tavola in spalla. Il surf qui è una vera passione, molto diffusa tra i giovani (prevalenza uomini). Facciamo colazione in un piccolo (nella dimensione americana) bar del centro commerciale da cui esce un buonissimo odore di caffè. Finalmente! Anche se lungo ha un buon sapore. Seduti ai tavolini davanti al bar ci sono alcuni anziani che chiacchierano. Poco lontano altri tre parlano una lingua che non riconosco. Mi avvicino e chiedo da accendere. Niente. Me ne andrò con la curiosità irrisolta.

Non ci dispiacerebbe passare la giornata al mare, e pensiamo che il Coronado hotel abbia una spiaggia più riparata dal vento, essendo sull’isola. Ma il tempo si fa nuvoloso e ci limitiamo a una passeggiata lungo la bellissima spiaggia.
Pranziamo su una delle terrazze davanti al Coronado. Non è molto diverso da un fast-food: paghi e aspetti che ti diano un vassoio. Per le bibite ti danno un bicchiere vuoto che riempi al distributore automatico davanti alla cassa. Poi ti siedi dove vuoi ai tavoli, con l’ombrellone, mentre un complessino messicano, tre musicisti e una cantante, rallegrano facce con la bocca piena, che masticano. Siamo sempre stupiti dalla grassezza delle persone, e dalla quantità di cibo che ingurgitano, ma soprattutto da quanto bevono tra alcolico e analcolico.

Visto che non viene il sole, andiamo a down town per un po’ di shopping. Il Westfield Shoppingtown Horton Plaza è un centro commerciale con negozi d’abbigliamento e magazzini dei  marchi più popolari. Ma ha una struttura curiosa: è tagliato obliquamente da una vicolo pedonale su cui si affacciano le balconate dalle forme irregolari e colorate.

Little Italy è una piacevole scoperta. Ci arriviamo con l’idea di dare un’occhiata (per dovere, in ricordo del migrante italiano), ma poi finiamo col girarlo a piedi. Il quartiere è su una collina che degrada verso la baia. Le case sono basse, colorate o classiche con giardini, piccoli negozi e tanti ristoranti e bar italiani.

Torrey PinesE’ quasi il tramonto e questa volta non vogliamo sentire “ecce bombo” come ieri sera quando abbiamo capito di essere su una spiaggia rivolta a sud. Torniamo sulla costa a nord di La Jolla, in un punto diverso dal mattino,  dove la costa è più alta e hai di fronte l’oceano aperto. Alle spalle invece si vedono boschi e in lontananza anche alcune mongolfiere. Sul bordo della scogliera c”è una specie di piattaforma di atterraggio per quelli che volano con il paracadute. Gli ultimi stanno rientrando e qualcuno piega il paracadute. Uno di questi “esseri volanti” indugia volando avanti e indietro lungo la parete, forse guarda anche lui il tramonto, forse non trova la corrente d’aria per atterrare. Lo perdo di vista osservando il tramonto: peccato però che il tuffo nell’oceano sia nascosto da nuvole basse e dense.

Non siamo gli unici che si fanno suggestionare: scorgiamo a rispettosa distanza altre persone in contemplazione. Il sole è ormai scomparso. Si sente il rumore dell’oceano, laggiù in basso, frangersi sulla spiaggia di sabbia. E poco lontano le voci e la musica di un gruppone dall’aria festosa (sembrano vetero-hippy), attrezzati con barbeque, torce, sedie e impianto stereo. Bambini che giocano, giovani che si appartano, anziani seduti e tutti che chiacchierano. Musica anni 60/70. Avrei voglia di infilarmi nel gruppo con una scusa qualunque, ma poi prevale la timidezza.

Balboa ParkL’ultimo sguardo a San Diego è per il Balboa Park. Edifici sontuosi, giardini, cortili, musei, chiesa, fontane, orto botanico formano una sorta di  villaggio vicino alla Casa de Balboa. E’ mattina presto, tutto chiuso  e ci sono ancora poche persone. Un fotografo con assistenti sta fotografando un giovane cinese in abito firmato. Un gruppo silenziosissimo di praticanti il thai-chi, in un angolo appartato. E un gruppo di ragazzi con skateboard, che si esercitano sulla scalinata della fontana con pessimi risultati e molto rumore. Il posto, come la città di San Diego, meriterebbe una visita più approfondità, ma abbiamo voglia di partire.